Jeff Koons a Palazzo Strozzi. Il potere della riflessione
Le giornate d’autunno sono l’ideale per andare a scoprire o magari riscoprire le tante città d’arte che punteggiano la nostra penisola. E allora perché non completare una rilassante passeggiata in centro storico visitando una bella mostra? È quello che potete fare se decidete di fare un giro a Firenze. Dal 2 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022 Palazzo Strozzi ospita infatti la più grande retrospettiva italiana dedicata all’artista statunitense Jeff Koons: Shine.
Jeff Koons
Vera e propria arti-star, Koons è una delle figure più importanti e discusse dell’arte contemporanea a livello globale, e attualmente risulta l’artista più quotato di sempre: pensate che la sua opera Rabbit è stata battuta tre anni fa da Christie’s per 91 milioni di dollari! Nato nel 1955 in Pennsylvania, è considerato uno degli eredi naturali di Andy Warhol ed esponente della Neo Pop Art statunitense. Riconoscibili in Koons anche le influenze surrealiste, con diretti richiami di alcune sue opere a Salvador Dalì, o nuovi approcci al ready-made di matrice duchampiana.
La mostra
La mostra, che sta riscuotendo grande successo di pubblico (solo nel primo mese di apertura si contano 50.000 visitatori), ha la curatela di Arturo Galansino e Joachim Pissarro, e porta a Firenze 33 opere tra sculture, installazioni e dipinti provenienti dalle più importanti collezioni del mondo, che rileggono i quarant’anni di carriera di Jeff Koons, dagli anni Settanta fino alle sue ultime produzioni.
Il percorso espositivo inizia, come di consueto, già nel cortile di Palazzo Strozzi con l’opera Balloon Monkey (2006-2013), scultura monumentale di colore blu che riproduce un animale realizzato con i palloncini, tipico gadget delle feste di compleanno per i bambini.
Si prosegue poi nelle stanze interne, con una serie di pezzi esposti non in ordine cronologico. Dalle iconiche sculture in acciaio lucidato a specchio che replicano oggetti di lusso, come il Baccarat Crystal Set (1986), agli emblematici giocattoli gonfiabili quali il già citato Rabbit (1986) e Balloon Dog (Red) (1994-2000). Ma anche la re-interpretazione di personaggi della cultura pop come Hulk (Tubas) (2004-2018), o l’utilizzo di oggetti di uso comune in pieno spirito ready-made come One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. JK 241 Series) (1985).
La poetica di Koons
«Per me l’acciaio inossidabile è il materiale del proletariato, è ciò di cui sono fatte pentole e padelle».
Così Koons spiega la propria predilezione per questo metallo, legato a una dimensione del vivere prosaica e quotidiana eppure così attraente per i nostri occhi che ci rimangono incollati. Come in un gioco di prestigio che avviene sotto la luce (altro elemento fondamentale) dei riflettori, le forme di consumo più effimero dissimulano la loro fungibile e opaca serialità e spariscono sotto un mantello aureo e luccicante. L’artificio è compiuto, ma come sempre noi spettatori non ce ne siamo accorti. Anzi, veniamo come pervasi da un insolito senso di colpa per scoprirci ancora più attratti dagli stessi codici dell’advertising da cui ci pensavamo al sicuro almeno all’interno delle sale di una mostra d’arte. È il corto circuito che da sempre innesca la Pop Art.
Shine
La luce, dicevamo. Sì, perché chiave di lettura dell’arte di Jeff Koons e filo conduttore dell’intera esposizione è il concetto di shine (lucentezza), termine semanticamente oscillante tra splendore e bagliore, essere e apparire. Il cuore della mostra sono infatti le superfici a specchio, leggere e labili nella loro lucidità riflettente, ma che emanano dalla pesantezza e dalla durevolezza dell’acciaio.
Ma il potere della riflettenza non si limita a questo paradosso. Ponendo lo spettatore costantemente davanti a specchi e collocandolo così al centro dell’ambiente, le sculture e le installazioni di Koons permettono anche di mettere in discussione il nostro rapporto con la realtà e il concetto stesso di opera d’arte. Le sue sculture riflettenti permettono ai visitatori di diventare parte delle opere, in un perpetuo dialogo tra il reale e l’immaginario. In questo modo è il visitatore il vero protagonista delle opere di Koons, che esplicano così appieno la loro dimensione performativa, diventando vero e proprio teatro di “performance” dello spettatore, che va a completare così l’opera d’arte stessa. È la «democratizzazione dell’arte» che guida e ispira la produzione di Koons. Lo afferma lui stesso:
«Il lavoro dell’artista consiste in un gesto con l’obiettivo di mostrare alle persone qual è il loro potenziale. Non si tratta di creare un oggetto o un’immagine; tutto avviene nella relazione con lo spettatore. È qui che avviene l’arte. Penso che quando esci dalla sala, ne esca anche l’arte».
Punto di arrivo è un paradossale ribaltamento di ruoli tra opera d’arte e spettatore. È l’essere umano che custodisce la vera valenza artistica, contenuta nella sua potenzialità e unicità.
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