Venerata sin dall’antichità, la Luna ha stimolato instancabilmente, offrendo il volto luminoso della propria solitudine, la creatività artistica dell’uomo. La notte stellata di Van Gogh o il chiaro di luna di Turner sullo sfondo, la sonata di Beethoven o l’album dei Pink Floyd a far danzare magiche note, accompagnati dai versi di Leopardi o da quelli relativamente più recenti di Alda Merini.
Tuttavia, a costo di sembrar profano – e forse in parte lo sono anche – devo dire che è stato il testo recentemente riscritto di una canzone di inizio XXI secolo a suscitare la presente riflessione: Luce. Il capolavoro di Elisa che vinse il Festival di Sanremo nell’ormai lontano 2001 e riscritta dal rapper romano Rancore in occasione della propria partecipazione all’edizione 2020 di Sanremo.
Narrando della storia d’amore fra la Luna e la Terra, le parole riproducono le caratteristiche morfologiche e astrali dell’unico satellite naturale che il nostro pianeta abbia mai avuto. Una girandola di significati e significanti fa sì che la poesia si mischi con la scienza, la fantasia con la realtà.
È una marea che sale e scende sugli altri
Con la schiuma sono bianchi come sgargianti
I riflessi tuoi rendono le onde più grandi
Sembra un attacco dei giganti
Quattro barre in grado di descrivere l’influenza gravitazionale esercitata dalla Luna sulla Terra, che periodicamente provoca l’innalzamento e l’abbassamento del livello dei mari. Come se l’amore fosse una forza trascendente in grado di riprodurre la necessità della legge di gravitazione universale, ecco che il legame fra Luna e Terra dal piano astronomico scivola su quello metafisico.
Non casuale, infatti, la citazione al manga e anime L’attacco dei giganti, tanto sono grandi man mano che si avvicinano alle mura da proteggere. Eppure, tutto si rivela essere una questione di prospettiva (lo sapeva bene Erwin Smith, ndr): non solo tra lontananza e vicinanza, ma anche fra bene e male.
Anche la strofa che racconta il gioco degli amanti, tra fulgide ombre e riflessi inesorabilmente illusori, insiste sull’indirizzo prospettico, tanto che uno specchio come il mare non rivela altro se non chi si ritrova a guardarlo. L’eclissi, ancora una volta, è l’elemento scientifico che si presta a divenir poesia d’amore nel gioco degli amanti poc’anzi citato.
E tra illusioni mi eclisso, come te
Che quando guardi il mio pianeta e poi ti specchi nel mare
Credi che ci sia una Luna uguale in fondo all’abisso
La Terra non può far a meno di dichiarare il proprio affetto alla Luna e, nel farlo, trasforma ogni parola d’amore nella caratteristica fisica o astronomica verso la quale è rivolto quel sentimento. Il triangolo semiotico fra significato, significante e referente si dissolve, come se una simile passione poetica non potesse essere ingabbiata da nessuna regola sintattica, semantica o semiotica.
E il volto che mi mostri è sempre uno
I crateri perché mi hai fatto da scudo
Tu senza l’atmosfera, un corpo nudo
Mentre mi addormento sotto una tua duna
Luna
L’intensità di una luce che illumina le notti più buie, le ferite di una battaglia cosmica, la vulnerabilità di un corpo spogliato delle proprie difese: la Terra si ristora all’ombra di un immaginario seno lunare, certa del fatto che, se ce ne fosse bisogno, verrà protetta ancora, e ancora.
Dopo interi millenni passati a essere musa per l’umanità, ora l’abbraccio astronomico fra Terra e Luna cancella la profonda solitudine che matura dalla consapevolezza di stare bene con tutti, senza mai essere realmente compresi da nessuno.