Martedì sera nel mio solito cinema locale ho visto La Persona Peggiore Del Mondo ( regia di Joachim Trier, 2021), candidato al Golden Globe nella sezione Stranieri proprio contro al “nostro” Sorrentino (di cui ho parlato nell’episodio precedente) già forte del premio per la miglior interpretazione femminile al Festival di Cannes, assegnato alla splendida Renate Hansen Reinsveen.
Con “splendida” , in questo caso, la sottoscritta non intende soltanto designare la qualità attoriale, comunque altissima, quanto quella schiettamente fisica (e non me ne vogliano le femministe): per tutta la durata del film l’unica cosa che ho fatto è invidiare quel paio di gambe incredibili che outfit dopo outfit sono state valorizzate abbastanza dal farmi percepire il suo charme come una vera e propria violenza psicologica, body shaming artistico contro noi che qualche centimetro di gambe in più nella vita ce lo saremmo proprio meritato.
Di fatto potrei qui di seguito risparmiarvi i miei accaniti blablabla e semplicemente allegarvi alcuni frame del film, primi piani della protagonista e altri, e penso che riuscirei comunque a convincervi a guardarlo (se mai questa fosse la mia missione), perché se c’è un punto forte di questo film, e ce ne sono moltissimi (dalla semplice narrazione alla sempre ironica, sottile ma sempre leggera critica sociale) proprio l’aspetto estetico.
Ma ripartiamo dalle basi-
Il sesso orale al tempo del “Me Too”
Julie è una ragazza norvegese in equilibrio sul punto più instabile della parabola umana, quello che copre l’arco dai venticinque ai trenta, nel quale si decide (o si dovrebbe decidere) il taglio che avrà la nostra prossima esistenza, in termini di indirizzi professionali e scelte relazionali, dunque sì, cosa fare da grandi e se sposarsi o no, se avere figli o meno.
Se avete la mia età, sono sicura che capirete di cosa parlo, se avete la mia età e ancora non avete bene chiaro almeno due dei tre punti sopra elencati, sono sicura che dovreste vedere questo film.
Come noi Julie non ha ben chiaro nessuno dei tre punti in questione: lascia l’università due volte, pensa di potersi collocare nel mondo artistico ma non sa in quale ambito, è divisa fra due ragazzi egualmente validi e a loro modo brillanti, e tutti e due, e nessuno sono “l’uomo della sua vita”.
Noi la vediamo per tutto il film muoversi attraverso una Oslo fiabesca, con i suoi colori cangianti, i suoi caffè higge dagli interni integralmente in legno, specchi d’acqua e tramonti brillanti a far da sfondo a semafori per un traffico inesistente.
Noi siamo con lei alle feste, con lei nei suoi deliri, soffriamo con lei, ci preoccupiamo per lei, le diamo ragione anche quando non ce l’ha, e soprattutto, contro ogni pronostico iniziale, scopriamo che non è davvero la persona peggiore del mondo.
Sicuramente, non è la più antipatica, nè la più politicamente corretta (e anche per questo dobbiamo volerle bene).
In uno dei capitoli in cui è suddivisa la narrazione, ad esempio, Julie si interroga su una questione di alta rilevanza sociale: se il sesso orale svilisca o meno il credo femminista di una donna, e con quali crismi lo si possa praticare senza deludere la povera Emma Bonino che tanto ha fatto per noi.
Ai posteri l’ardua sentenza.
Adieu Amèlie
Sulla copertina la pellicola viene definita dalla critica come “la nuova Amèlie”, con riferimento al milestone “Il favoloso mondo di Amèlie” (Jean-Pierre Jeunet, 2001) .
Qualcosa di quel favoloso mondo, nella persona peggiore di questo, in effetti c’è. E’ forse nei personaggi buffi che la circondano, dalla sua famiglia ai due fidanzati dai tratti quasi caricaturali, con le loro espressioni sorprese e sbigottite ad ogni cambiamento d’umore della loro fidanzata, penso tuttavia che ci sia ben poco di Amèlie in Julie.
Ne rimane certamente una traccia profonda nella visione romantica dell’esistenza, soprattutto nell’espressione di libera felicità della protagonista quando si lascia andare alle sue fantasie, nel capriccio di poter essere chiunque a seconda del tipo di risveglio sperimentato quel giorno.
L’ultima mezz’ora tuttavia, ci mostra una Julie del tutto adulta, alle prese con cruciali questioni di maturità che spezza totalmente il ritmo fiabesco dei primi tre quarti di film, riportandoci tutti insieme ad una realtà talvolta crudele che Amèlie ci ha negato,e proprio per questo le abbiamo voluto bene e gliene vogliamo tutt’ora.
Perché non ci ha rivelato ciò che invece la realtà ci mostra ogni giorno con regolare schiettezza: l’amore della nostra vita non è per forza quello che ci regalerà un anello e dei figli, potrebbe anche non trattarsi di uno solo.
E poi che non tutti hanno davvero ciò che si meritano, nel bene e nel male, che la passione ha una scadenza per tutti, che il successo copre una durata breve nella vita di ciascuno, per quanto la celebrità moderna punti sull’eterno ritorno che diventa poi eterno riciclo, e che si può vivere una vita intera senza avere la benché minima idea di ciò che si vuole davvero.
Tuttavia, ci sono anche cose belle.
Ed è singolare che noi queste cose le riusciamo a vedere in compagnia de La Persona Peggiore Del Mondo, che in fin dei conti tanto brutta non lo è, è solo una di noi, che come noi non ha chiara la prossima mossa, e quindi nel tentarle tutte a qualcuno finisce per far male.
C’est la vie.
Baci fatalisti,
Francesca.