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Drusilla Foer: unicità e ascolto tra spettacolo e filosofia

Drusilla Foer: unicità e ascolto tra spettacolo e filosofia

Il monologo di Drusilla Foer della terza serata del Festival di Sanremo. Trascrizione integrale e un breve commento.

Che ci piaccia o no, è un fatto. Come ogni anno, di questo periodo, il Festival di Sanremo capitalizza le attenzioni del nostro amato Belpaese, insinuandosi in tutte le pieghe del dibattito pubblico. È però rassicurante che nelle ultime edizioni il festival riesca ad attirare l’interesse anche della compagine culturale, e stia piano piano prendendo congedo dalle pagine dei rotocalchi scandalistici. Da qualche tempo mi pare si stia infatti producendo una tendenza virtuosa, impressa non saprei dire da chi, ma che ogni anno tira a sé tempi e spazi sempre più cospicui della manifestazione.

Quella che poteva apparire come una kermesse di “sole canzonette”, sta diventando sempre più un mezzo (con una potenza di fuoco pazzesca, a giudicare dagli ultimi ascolti), capace di portare alla luce temi importanti. Sebbene la forma non sia sempre la più adatta a valorizzare i contenuti, e lo scivolone nel cliché sia dietro l’angolo (non dimentichiamoci che l’Italia resta pur sempre “un paese di musichette”, e che Sanremo ne è a buon diritto la sua massima espressione), qualche colpo riesce ad andare a segno.

È il caso del monologo di Drusilla Foer a cui i più nottambuli fra noi, forti di una fisiologia ormai evolutasi in 72 anni di Festival, hanno avuto il piacere di assistere ieri notte, per l’appunto a un passo dalla chiusura della terza serata del Festival, con ormai i primi raggi di sole che filtravano dalla finestra. Proprio per l’infelice posizione in scaletta, ho deciso quindi di dedicare lo spazio di questo articolo alle parole di Drusilla, per provare a dare ulteriore risonanza al suo intervento. La rilevanza e l’urgenza dei temi e la raffinatezza con cui sono stati espressi me lo impongono (e anche i rudimenti di base della scrittura SEO). No, non è vero, gli hashtag in tendenza su Twitter non mi avranno mai alle loro dipendenze.

Il monologo di Drusilla Foer

Di seguito la trascrizione integrale del monologo.

«Ecco Drusilla Foer che parla di fluidità, integrazione, di diversità, forse dovrei..

Diversità è proprio una parola che non mi piace. Non mi piace perché ha in sé qualcosa di comparativo e una distanza che proprio non mi convince. Quando la verbalizzo sento sempre che tradisco qualcosa che sento o che penso. Io trovo che le parole siano come gli amanti: quando non funzionano più vanno cambiati subito.

Quindi ho cercato un termine che potesse degnamente sostituire una parola che per me è così incompleta. E ne ho trovato uno molto convincente: unicità.

Unicità mi piace; è una parola che piace a tutti perché tutti noi siamo capaci di notare l’unicità dell’altro. Tutti noi pensiamo di essere unici, no? Facile? Per niente. Perché per comprendere la propria unicità, e accettarla, è necessario capire da che cosa è composta la nostra unicità, di che cosa è fatta, di che cosa siamo fatti noi. Certamente di cose belle: le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti.

Sì, però i talenti vanno allenati, seguiti, delle proprie convinzioni bisogna avere la responsabilità, delle proprie forze bisogna avere cura. E queste sono le cose che sulla carta son fighe. Immaginatevi quando si comincia con i dolori, le paure, le fragilità…

Non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità. Come si fanno a tenere insieme tutte queste cose che ci compongono?

Io un modo ce l’avrei. Si prendono per mano tutte le cose che ci abitano, quelle belle, quelle che pensiamo essere brutte e si portano in alto. Si sollevano insieme a noi nella purezza dell’aria, nella libertà del vento, alla luce del sole, in un grande abbraccio innamorato e gridiamo: “Che bellezza tutte queste cose! Sono io!”. Sarò una figata pazzesca e sarà bellissimo abbracciare la nostra unicità.

E a quel punto io credo che sarà anche più probabile aprirsi all’unicità dell’altro, ed uscire da questo stato di conflitto che ci allontana.

Tentiamo insieme il più grande atto rivoluzionario che si possa fare al giorno d’oggi: l’ascolto. L’ascolto di se stessi, l’ascolto degli altri, l’ascolto delle unicità.

Ascoltiamoci, doniamoci agli altri, confrontiamoci gentilmente, accogliamo il dubbio, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni. Facciamo scorrere i pensieri in libertà e senza pregiudizio e senza vergogna. Facciamo scorrere i sentimenti con libertà e liberiamoci dalla prigionia dell’immobilità. Immaginate se il mondo non ruotasse e fisso stesse, se tutto il buio fosse nero pesto».

Pensieri in libertà (scomodando Hannah Arendt e Abraham Kaplan)

Con il suo stile inconfondibile, penso che Drusilla abbia dato nuova linfa a due parole centrali per la nostra epoca, due parole che dovrebbero essere gli assi cartesiani di una possibile topologia del vivere civile: unicità e ascolto.

Hannah Arendt (1906-1975)

Sul valore dell’unicità insisteva già Hannah Arendt in Vita Activa (1958). La condizione di pluralità che caratterizza l’agire dell’uomo nello spazio pubblico si fonda precisamente sull’unicità, sulla curiosa intangibilità di ognuno. È l’unicità e il pluralismo di prospettive a essere la condizione di possibilità stessa del mondo, o almeno di un mondo in cui gli uomini possono intrecciare relazioni paritarie gli uni con gli altri. Relazioni in cui si intersecano intenzioni contrastanti che però riescono a dialogare e cogliere il meglio l’una dall’altra. Ed ecco che emerge anche l’altro nodo della questione: l’ascolto. Nel tempo della sovrabbondanza e dell’iperstimolazione, penso che l’ascolto e l’attenzione siano i doni più preziosi che possiamo tributare agli altri e a noi stessi. Ma quanto realmente ascoltiamo e siamo ascoltati? Quanto la comunicazione oggi sa davvero farsi incontro?

Abraham Kaplan (1918-1993)

Le parole di Drusilla mi hanno quindi fatto venire in mente quelle di un altro filosofo, Abraham Kaplan (1918-1993), sodale di Martin Buber. Kaplan mette in luce quanto in molti dialoghi non stiamo realmente comunicando, ma solo aspettando che l’altro termini di parlare per imporre il nostro punto di vista. Ecco che il dialogo diventa piuttosto un duologo, un monologo a due voci. In questo modo, non c’è crescita né arricchimento, ognuno rimane arroccato nelle proprie posizioni, che si cristallizzano e ci condannano, come dice Drusilla, alla prigionia dell’immobilità.

Grazie, Drusilla.

 

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Simone Gasparoni

Simone Gasparoni

Classe 1995, studio Filosofia all'Università di Pisa. Allievo ortodosso di Socrate, ho sempre pensato che le parole siano roba troppo seria per abusarne (lo so, lo so, detta così sembra una scusa degna del miglior cerchiobottismo, per dirla in gergo giornalistico). Romantico per vocazione, misantropo per induzione. Attualmente, in via di riconciliazione con il genere umano attraverso la musica, l'arte, la cultura. Per ora, sembrano buone vie. Oltre che all'Unipi, potete trovarmi in giro in qualche locale o teatro a strimpellare la tastiera. O, con più probabilità, a casa mia. P.S. Ecco, l'ho già fatta troppo lunga...

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