Si dice che dietro il totale oblio circa il ricordo del momento della nostra nascita ci sia la doverosa rimozione di un trauma enorme da sostenere, forse il più grande della nostra vita, non lo sapremo mai.
Io del periodo intercorso fra la prima e la terza media ricordo frammenti: la cartellina verde scuro per i disegni di tecnica, gli anni dell’apparecchio, ricordo il primo telefono, New York di Jay Z e Alicia Keys, Justin Bieber che cantava Baby con la mano sul cuore proiettato sulla prima lavagna multimediale del nostro istituto.
Tutto qui, frammenti, se fate il confronto con quanto affermato in prima istanza, potete dedurre facilmente la serenità con cui ho vissuto quel periodo.
Di pubertà nei primi anni dieci se ne parlava poco, l’ingrato compito gravava per lo più sulle poderose spalle di Malcolm e di Disney Channel che dava ai nostri drammi quotidiani volti puliti di adolescenti americani comunque più carini e sicuramente vestiti meglio di noi.
Era comunque un modello estremamente distante dalle nostre realtà fatte di corridoi ancora ingombri di cartelloni colorati, nessun armadietto, tutt’al più un armadio a muro, a destra del crocifisso.
Per anni si è parlato di un gap proprio a proposito della letteratura di tematica preadolescenziale e per preadolescenti, settore abbandonato dai più: troppo serio per gli scrittori dell’infanzia, troppo frivolo per i romanzieri dell’età adulta. Gap ad oggi colmato, ma prevalentemente dagli esempi americani come la fortunatissima e divertentissima serie de Il Diario Di Una Schiappa di Jeff Kinney.
Nel darci ad un po’ di eziologia, le ragioni di questo silenzio potrebbero essere molteplici. La rimozione da trauma, come detto prima, potrebbe essere uno di questi motivi, il fatto poi che gli adolescenti siano la fascia d’età meno interessata al consumo di prodotti letterari potrebbe essere un altro valido argomento, ma se proprio dovessi puntare il dito contro il vero colpevole di questo gap allora lo punterei su un elemento ed uno soltanto: il tabù.
Rosso panda
Se di preadolescenza Disney Channel ne parlava male e la letteratura poco, rimaneva scoperto un terzo settore del mondo culturale in cui non se ne era parlato affatto: l’universo del cartone animato.
Risulta ora per la verità un po’ insolito, se non diabolico, che un prodotto che storicamente accompagna i bambini per mano in tutto il lunghissimo viaggio dell’infanzia si comporti poi come una madre crudele che abbandona i figli sulla soglia della classe il primo giorno di scuola, che sfila la mano rapidamente e volta le spalle a ciò che succederà dopo.
Eppure è stato così, finchè non è arrivato Red (Domee Shi, 2022) ultimo prodotto Pixar, reperibile su Disney+ e prossimamente (ma in data da destinarsi) anche al cinema.
La storia trattata è quella di Mei, preadolescente canadese di origini cinesi che frequenta una scuola media a Toronto, ama la matematica, disdegna i maschi, la sintesi di una vita potenzialmente serenissima, non fosse per l’irrompere della pubertà.
Ecco quindi che l’irreprensibile affettuosa Mei si trasforma in un essere improvvisamente dominato da un’irrazionale aggressività, un essere ingombrante, impossibile da non notare.
Un essere peloso, affamato, triste, eccitato, un essere coperto di rosso, circondato dal rosso, il rosso del sangue, il rosso dell’imbarazzo: un’adolescente.
E sì, anche un panda rosso.
Rosso sangue
La metafora attorno alla quale ruota il film di Domee Shi è per l’appunto quella della comparsa del ciclo mestruale veicolata dall’improvviso trasformarsi di Mei in un panda rosso, metamorfosi tipica delle donne della sua famiglia proprio in coincidenza con la comparsa del ciclo, tenutale segreta per tutta la vita.
In altre parole, un tabù.
Se già appare rivoluzionario il voler parlare di preadolescenza in un cartone animato, ecco qui il secondo moto di rivoluzione: di ciclo se ne parla. Non si vede (si vedono gli assorbenti tirati fuori da un cassetto dalla madre) ma se ne parla, ne parla la madre, ne può parlare anche il padre che sussurra uno stupito ma per niente imbarazzato “è già quel momento?”.
In questo caso si può dire che Shi non solo abbatta il tabù, ma trovi anche il modo di comunicarne la presenza alle categorie più refrattarie all’accettazione di questo ( i maschi, i padri) abbattendo per prima cosa lo stereotipo stesso dell’uomo e del padre: Jin Lee è un padre presente, un padre che cucina dei fantastici ravioli cinesi e soprattutto un padre che sa gestire il “panda”.
Rosso d’imbarazzo
Non solo il ciclo. La vita di una preadolescente, già resa difficoltosa dalla comparsa di una perdita di sangue mensile e costante per quattro (cinque, talvolta sei) lunghissimi giorni, ruota sostanzialmente intorno a tre macrotematiche difficili da gestire, in ordine di pericolosità: gli sbalzi emotivi, le cotte, le madri.
Ai primi c’è rimedio, le seconde ce le trasciniamo dietro tutta la vita a volte amandole, a volte subendole, e soprattutto senza mai capirle davvero.
La madre di Mei nella fattispecie ha la voce di Sandra Oh (Cristina di Grey’s Anatomy, per intenderci, ma anche Eve in Killing Eve, per gli intenditori) ed è a sua volta una creatura irrisolta, a metà fra un’ex studentessa modello e la guardiana di un tempio in centro a Toronto, custode amorevole delle sue stesse radici.
E’ una madre autorevole, invadente, imbarazzante, ma prima di essere tutto questo, è una madre spaventata, e nella stessa misura in cui lo siamo tutte, una donna spaventata.
Mei cerca di divincolarsi dalla crisalide del suo affetto per tutto il film, a volte per tentativi goffi, talvolta per ribellioni più decise, ed è questo forse l’altro tabù (almeno per noi mediterranei) che il film si permette di toccare: lasciare le mani delle nostre madri.
Fra le tante cose che questo film può insegnare ai futuri adolescenti, è che lasciare la mano delle madri non è liberarsi di loro, ma liberarsi da loro, dalla loro protezione, ma anche dalle loro paure, prima che diventino anche le nostre, prima che si sovrappongano alle nostre moltiplicando il caos.
E soprattutto che se anche questo è un processo che presuppone il conflitto, il conflitto si può risolvere.
Rosso relativo
Piccola chicca in chiusura.
Componendo questo articolo mi sono accorta che l’unico ricordo univocamente felice che unisce come un fil rouge tutte le nostre più o meno drammatiche esperienze preadolescenziali è la musica. Justin Bieber su tutti, ma anche Lady Gaga, Rihanna, NeYo, Tiziano Ferro, Marco Carta, Alessandra Amoroso.
Nella Toronto di Mei sbancano i botteghini i 4 Town, boy band composta da cinque ragazzi le cui canzoni solecuoreamore portano in realtà la firma di un’artista di tutt’altro calibro: Billie Eilish.