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Venticinquesima intermittenza

Benvenuti, o ben tornati, tra queste pagine.

Saranno le “vacanze”, saranno i ponti piovosi, ma vorrei riportarvi a qualcosa che scrissi qualche tempo fa, sotto lockdown.

Buona lettura!

 

Nell’ultimo anno, probabilmente grazie/o per colpa del lockdown, ho consumato un quantità spropositata di serie TV. Questo fenomeno si è allungato anche oltre, divorandomi il poco tempo libero a disposizione. È, a tutti gli effetti, un macello.

La voglia, quindi, di parlarne e provare, sempre nello stile comparatistico che contraddistingue le mie pagine, a raccontarvi qualcosa di nuovo era fortissima. Alla fine ho ceduto ed eccoci qui.

Questo primo articolino è di riscaldamento, ci prepariamo a ciò che dovremo affrontare nelle settimane che seguiranno, quindi ci andrò abbastanza piano. Le opere che vi consiglio le svelerò alla fine. Ne parlerò per sottrazione, togliendole dalla discussione e affrontando trasversalmente la questione.

Vorrei riprendere un elemento importante delle prime righe: la situazione pandemica. Mai come in questo periodo, la mia fame di storie e di narrazioni si è accentuata.  Cercavo in queste il mondo che quotidianamente sbiadisce e che scalpita per tornare dov’era.

Quante volte abbiamo incontrato, nel nostro peregrinare sui social, divertenti/terrificanti (a voi la scelta) analogie con la situazione descritta nel Decamerone dell’ottimo Boccaccio?

Andando un pochino oltre, le storie, anche in situazioni delicate come quella che stiamo vivendo, soddisfano, placano e colmano il nostro desiderio di quotidianità. La quotidianità che non sappiamo affrontare, o con la quale non sappiamo relazionarci nella vita reale, si configura come isola felice nella nostra immaginazione. Un’oasi rigogliosa in mezzo al deserto squallido della routine, nella quale potersi rifugiare.

I ragazzi ospiti del rifugio creato dalla straordinaria maestria narrativa di Boccaccio stanno cercando rifugio dalla peste. Sono in quarantena, ma non solo. Stanno creando qualcosa di più, si stanno spingendo oltre il semplice distanziamento sociale.

Spostandoci momentaneamente all’indietro, e un pochino più verso loriente, troviamo l’esempio più celebre della novellistica orientale, e non solo. Mi riferisco alle Mille e una notte. Un re persiano, tradito dalla moglie, decide di uccidere sistematicamente le donne dopo la “prima notte” di nozze.  Shahrazād, la nostra protagonista, si offre volontariamente ed escogita un trucco per sfuggire alla morte: ogni sera racconta una storia, ma questa sarà senza finale.

In questo modo, suscitata la curiosità del suo aguzzino, la donna avrà salva la vita, notte dopo notte. Non so voi, a me questo particolare caso letterario ha ricordato moltissimo la tecnica del cliffhanger (nome che ho scelto di attribuire anche a questo nuovo blog), che consiste nel concludere un episodio/capitolo col raggiungimento della massima tensione, per poi sciogliere i nodi nel successivo capitolo/episodio.

Questo particolare dispositivo narrativo è stato pensato per stimolare il fruitore e tenerlo incollato, fremente, nell’attesa di “sapere”. Sembra funzionare alla grande se è riuscito persino a salvare una ragazza dalla morte.

Tornando ai nostri ragazzi del contado, notiamo un fil rouge interessante con la vicenda di Shahrazād. C’è sempre la volontà di narrare per fuggire dalla morte, per scampare all’inevitabile destino del nostro essere mortali.

Come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già prima. La prima riga della prima pagina di ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori del libro. Oppure la vera storia è quella che comincia dieci pagine più avanti e tutto ciò che precede è solo un prologo.

Questo discorso potrebbe rimandare persino al secondo articolo del mio precedente blog, ma ci spingiamo leggermente oltre. Questi ragazzi si ritirano in campagna. Rispondono al disastro col valore della natura nella quale sono immersi e alleviano i loro mali con quelle funzioni collettive e sociali che vengono meno: discutono, parlano, si confrontano, ma soprattutto raccontano.

Il racconto, la narrazione e le storie vincono la morte. Persino la fruizione aiuta a ricostituire lo status quo che sembra venir sempre meno, ma che è, nell’atto di raccontare e di ascoltare, più vivo che mai.

Perché questa introduzione lunghissima? Perché le due opere che vi suggerisco oggi sono due raccolte “antologiche”, due contenitori di storie. Credo che in un periodo bizzarro come quello che stiamo vivendo, la pluralità degli stili, delle vicende e dei generi possa aiutarci a vivere, e a rifondare il mondo per come lo conoscevamo. O fondarne uno migliore sulle ceneri di quello antico.

Qualunque sia l’alternativa che scegliamo di mettere in atto nel nostro piccolo, le storie saranno sempre presenti e saranno un’arma essenziale per vincere la morte, nonostante questa sia intrinsecamente parte dell’essere mortali.

Storie. Alla fine è tutto ciò che saremo. Che ci lasceremo dietro. Delle storie narrate e rinarrate attraverso il tempo. Le più grandi sono quelle che non muoiono mai. Le storie immortali. Incoronate. Le più meritevoli tra le nostre tante fantasie. Queste sono le storie… di cui sono fatti gli Dei.

 

Opere consigliate:

Serie Tv: Black Mirror

Opera letteraria: 9 Racconti – J.D. Salinger

Grazie per avermi seguito in questo delirio molto più strano del solito.

Un saluto e buon viaggio!

Gabriele

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