Benvenuti o ben tornati tra queste pagine,
Oggi non ci sarà nulla di “narrativo”.
Semplicemente, vorrei portarvi all’attenzione una recensione nella quale mi sono imbattuto bazzicando su GOODREADS.
La recensione è a cura di tal Omar Suboh e tratta di uno dei miei libri preferiti: I Detective Selvaggi.
Ve la lascio:
“«Io sono la madre della poesia messicana. Io conosco tutti i poeti e tutti i poeti conoscono me». Così scrive Auxilio Lacouture, uno degli oltre cinquantasei personaggi che scorrono lungo il fluidofiume de I detective selvaggi, autentico romanzo mostro, pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1998. Il cesso del bagno dell’università in cui si ritrova casualmente durante l’occupazione, con annessa guerriglia al di fuori, prende il posto dell’ufficio universitario che non ha mai avuto: «quel cesso fu la mia trincea e il mio castello di Duino, la mia epifania del Messico».
Leggere Roberto Bolaño mi fa tornare in mente un altro esperto nella scrittura di romanzi mostri (che forse preferisco alla canonica definizione di Moretti, opere mondo), e quell’autore è Thomas Pynchon. In particolare mi ha riportato alla mente la lettura di V., opera prima del maestro del postmoderno, dove la Terra diviene come una immensa carta geografica nella quale tracciare i rapporti di forza, e dove è necessario visitare i posti, viverci, per scavare in profondità e rintracciare una qualche verità che non si vede, per intercettare quel qualcosa che sta al di là.
I detective-poeti cosa cercano? Cesárea Tinajero, fondatrice del movimento dei poeti realvisceralisti, a cui appartengono i due protagonisti dell’opera, Arturo Belano (Bolaño?) e Ulises Lima (tracciato secondo la figura del suo amico e scrittore Mario Santiago Papasquiaro, insieme a Bolaño, fondatori del movimento poetico denominato dell’infrarealismo messicano), che non prendono mai la parola in prima persona per tutto l’arco della narrazione, ma vengono sempre raccontati da prospettive differenti, come in un gioco di specchi; oppure cercano di sfuggire dalle grinfie del magnaccia Alberto, che rivorrebbe con sé Lupe, come ci racconta il diario di Juan García Madero, voce narrante in prima persona attraverso le date che scandiscono quei giorni passati assieme ai due poeti realvisceralisti, rispettivamente, nella prima e nella terza parte del romanzo (la seconda, al centro, è la più lunga e, estesa per oltre 400 pagine, alterna le voci dei personaggi che hanno avuto a che fare direttamente o indirettamente con i due poeti alla ricerca di Cesárea); ma soprattutto, è un romanzo sulla letteratura, e dunque una ricerca sulla ricerca.
Attraversato da una miriade di avventure, in Liberia, in Israele, in Francia, in Spagna, in Messico… la sua ricerca è destinata a non concludersi mai, come un’opera aperta, e in cui ogni lettore, può decidere che significato dare, se mai ce ne fosse uno…
L’idea che muove il mondo di Bolaño è quella che la Letteratura possa rivelare ancora qualche segreto, che possa aprire qualche finestra non ancora schiusa, deformare la realtà e, come avrebbero voluto i realvisceralisti (e gli infrarealisti…), sovvertire l’ordine costituito, l’accademia della letteratura e del gusto consolidato, conferendo il significato nella forma e nel modo in cui essa è organizzata.”
Wow.