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EP.44 Esterno, notte

E’ di recente uscita nelle sale la prima parte del nuovo film di Marco Bellocchio dedicato alla vicenda del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, Esterno Notte.

Ora, se l’istruzione universitaria non mi avesse obbligata tramite il ricatto tipico di questa –i CFU e la laurea- ad interessarmi alla vicenda, io devo confessarvi che del rapimento di Moro non ne saprei proprio niente.
Per quanti di voi non fossero stati obbligati, o semplicemente non avessero ceduto al meschino ricatto, allego qui un rapidissimo recap. della vicenda  perché arriviate preparati alla visione. E se ancora dovete vedere il film, quanto segue è tutto ciò che può bastare per orientarvi nel caso, senza nessuno spoiler.

A parte che il protagonista viene ucciso.
Ma questo forse lo sapete

Buongiorno, notte

Facciamo un passo indietro.
Per chi non lo sapesse, va detto che Bellocchio aveva già affrontato cinematograficamente la vicenda del rapimento di Aldo Moro nel 2003, con Buongiorno, notte.
La differenza di Esterno notte con il suo precedente è quasi dicotomica: laddove in Buongiorno, notte Bellocchio aveva posto il focus interamente su ciò che avveniva all’interno della cosiddetta “prigione del popolo” – mostrandoci dunque solo Moro e i suoi carcerieri- in Esterno notte si ha, lapalissianamente, la visione di ciò che invece si muoveva al di fuori di questa, negli altrettanto cosiddetti “palazzi del potere”.

Il Moro magistralmente interpretato da Fabrizio Gifuni dunque, appare solo nei primi due episodi della storia, per poi lasciarci al suo rapimento e non comparire più.
Di qui in poi la narrazione è bipartita, o per meglio dire declinata, entro due visioni principali: quella di Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti Ministro dell’Interno per il governo Moro V, e quella di Papa Paolo VI, amico di Moro prima ancora che fonte d’appoggio e d’ispirazione, per così dire, del suo partito.

Francesco Cossiga

La prigione della mente

Francesco Cossiga (interpretato da Fausto Russo Alesi) nasce a Sassari nel 1928, a diciannove anni si laurea in Giursprudenza, a venticinque insegna all’Università di Sassari. Entra negli ambienti della DC giovanissimo, di lì una lunga e controversa carriera lo porterà fino alla nomina di Presidente Della Repubblica dal 1985 al 1992.
Ma soprattutto, o almeno, soprattutto per quello che riguarda la brillante scelta narrativa di Bellocchio, Cossiga si sposa tramite matrimonio combinato con Giuseppina Sigurati, dalla quale avrà due figli ma che non lo amò mai e con la quale trascorse una vita da separato in casa, fino allo scioglimento definitivo del matrimonio da parte della Sacra Rota, nel 2007.

Questo sembra essere per tutto il film il vero tormento di Cossiga: una cornice argentata sulla scrivania che lo ritragga sorridente con la moglie, baluardo di felicità di cui non godrà mai.
Cossiga viene rappresentato come l’unico davvero umanamente interessato a salvare Moro dai terroristi delle Brigate Rosse –e in fin dei conti anche per salvare sé stesso e il suo partito da ciò che Moro potrebbe rivelare, se incentivato da un’ipotetica tortura- e tuttavia perennemente ostacolato da sé stesso e dai suoi fantasmi.

Alla fine è lui a venire rappresentato come un uomo in prigione lacerato dal duplice interesse per la salvezza del suo amico e quella del suo partito e della sua reputazione, fiaccato dalla nevrosi e dalla depressione.
La prigione di Cossiga è la sua stessa mente attanagliata dal senso di colpa e il suo carceriere in questo senso, meraviglioso plot twist, è Aldo Moro.

Papa Paolo VI

Una croce da non portare

Come si è detto, il secondo punto di vista in cui è declinata la vicenda è quella del Papa (interpretato da Toni Servillo), amico e confidente di Moro. Passiamo dunque dai palazzi del potere dello Stato Italiano a quelli dello Stato Vaticano in una serie di rimbalzi di responsabilità per i quali il longevo teatrino di alternati tentativi di sopraffazione fra Stato e Chiesa si appiattisce in finte professioni di inferiorità.

Il quadro è chiaro: dopo una prima spinta entusiastica, nessuno vuole più la responsabilità di salvare Moro.
E in fin dei conti non la vuole nemmeno l’amico e guida spirituale di una nazione e di una vita.

Ad un primo slancio animato dal senso di colpa in cui il Papa si propone come guida di una via crucis in nome della libertà di Moro, segue una scena in cui lo stesso è tenuto a scegliere quale croce portare.
Subito la scelta si indirizza sulla più massiccia, tuttavia da uomo anziano e malato, si rivela una scelta troppo pesante da sopportare. Di qui si hanno una serie di prove di croci via via sempre più piccole fino ad una praticamente inconsistente che comunque non verrà portata da lui: sarà infatti un altro cardinale a guidare processione, portando la croce più massiccia, e senza troppo sforzo.
Anche qui la metafora è presto disvelata: aldilà del sodalizio umano, neanche il Papa se la sente di portare questa croce.

L’affaire Moro

L’ultimo condannato a morte

Facendo ancora un ulteriore passo indietro, prima che Bellocchio e molti altri ne facessero un film, nell’Agosto del 1978 Leonardo Sciascia (per quelli che hanno fatto la terza media altresì noto come “quello de Il giorno della civetta“) scrive quello che ad oggi verrebbe definito un instant book sul caso Moro, intitolato per l’appunto L’affaire Moro.

Ora, oltre ad un instant book, L’Affaire Moro è uno straordinario saggio di argomento cronachistico-letterario finemente intessuto sulla vicenda, ma questa è una dissertazione che giunti a questo punto dell’articolo davvero non vi meritate, dunque tornerò sui binari di ciò che concerne il film direttamente.
La riflessione di Sciascia sugli eventi parte dall’assunto per cui il caso Moro fosse già un caso letterario, prima che cronachistico, fatto e finito, e che in fin dei conti bastasse solo trascriverlo per farne un libro.
Dunque, se alcune delle vicende raccontate da Bellocchio talvolta vi sembreranno incredibili, sappiate che ci sono casi in cui è la letteratura ad imitare la vita, e non il contrario.

Questo è uno di quei casi.

Aldo Moro che guida la sua stessa processione, alle sue spalle gli uomini del suo partito.

Per Sciascia Moro è l’ultimo condannato a morte di questo paese, non solo dalle BR, esecutori materiale, ma anche dal suo partito.
Opinione dell’autore siciliano è infatti che il rapimento di Moro fosse avvenuto in un terreno di tensione preparato in parte proprio dall’establishment politico del tempo, nel quale faceva da leader dalla DC.

(Dettaglio non trascurabile: ben tre anni prima che Moro fosse rapito Sciascia aveva pubblicato un altro romanzo, Todo modo, nel quale un politico, sicuro alter-ego del leader della DC veniva ucciso dai suoi stessi compagni di partito)
E’ una storia questa, in cui il passato sembra anticipare il futuro.

Anche Bellocchio gioca d’anticipo: molti degli eventi che seguiranno vengono tetramente preannunciati in scene che li precedono (per i millennials sì, sono più o meno easter egg), potrei fare molti esempi in questo senso ma ne farò uno soltanto.
In una delle prime scene vediamo Moro consumare una modestissima cena con in sottofondo la radio accesa su un canale di notizie. Ebbene, infilato fra una partita ed un’affermazione di Moravia, si ha l’annuncio di un nuovo film con Gian Maria Volontè.

Gian Maria Volontè che a poco più di otto anni dai tragici eventi di Via Fani interpreterà proprio Moro nel film Il caso Moro di Giuseppe Ferrara.

Nell’opinione di Sciascia la morte aveva rincorso Moro fin dai suoi primi passi mossi nella politica, e Bellocchio come lo scrittore non manca di preannunciare la sua venuta allo spettatore sensibile, o per gli aspiranti tali.

E se ancora non aspirate a ricoprire questo ruolo, potete cominciare a pensarci con questo film.

 

 

Baci cronachistico-letterari

Francesca

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