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La guerra e le ali

la guerra e le ali

La guerra e le ali. La guerra le taglia, le ali. Tutte. Chiudono i confini dei paesi e delle anime.

Ho provato a pensare cosa voglia dire vivere in un paese in guerra. Forse nell’ultimo periodo l’abbiamo fatto un po’ tutti. Nell’egoismo del vivere con maggior preoccupazione e dolore le vicende ucraine solo perché più vicina alla nostra realtà (come se nel mondo non ci fossero decine di guerre ormai dimenticate dai più) penso che tutti abbiamo provato a immaginare la nostra quotidianità, quella che era anche degli ucraini, stravolta dai combattimenti. Non ci si sposta per viaggiare, ma per scappare. Non si cercano luoghi da visitare, ma rifugi dove nascondersi. La guerra non mette fine solo agli spostamenti intesi banalmente come vacanze, ma è il viaggio personale di ogni donna e ogni uomo a fermarsi. Viaggiare è comunicare, è scambio, è crescita personale. E’ vedere il mondo da altre prospettive. E’ imparare a non avere paura di ciò che non si conosce ma, anzi, trarne lezione. La guerra uccide fisicamente ma anche moralmente e spiritualmente. Blocca la crescita umana e personale di ogni essere umano, il cui unico scopo non è più l’evoluzione ma la sopravvivenza.

Durante il mio Cammino di Santiago ho fatto amicizia con un ragazzo israeliano. Un giorno camminavamo insieme, in gruppo con altre tre o quattro persone provenienti da vari paesi europei. Notiamo che il nostro amico di Israele inizia a chiacchierare con un altro pellegrino, un ragazzo nostro coetaneo che non conoscevamo. I due camminano di fianco e li vediamo parlare intensamente e pacatamente, come due vecchi amici che hanno molto da raccontarsi. Alla fine restano indietro, noi continuiamo a camminare e finiamo col perderli di vista. Arriva l’ora del pranzo, ci sediamo ai tavolini di un piccolo chiosco lungo il cammino, in attesa che il nostro amico ci raggiunga, doveva per forza passare di lì.

Infine arriva. L’altro ragazzo ci fa un cenno di saluto e prosegue il suo cammino, mentre offriamo al nostro compagno di viaggio una sedia e un menu. Aveva l’espressione seria, o forse commossa. Non facciamo domande. Quando riprendiamo a camminare, è lui ad avvicinarsi e a raccontare.

“Quel ragazzo viene dal Libano. Israele e il Libano sono due paesi confinanti ma perennemente coinvolti in guerre vere o di tensione. Voi europei siete fortunati: potete attraversare gli stati, ipoteticamente potreste girare tutta l’Europa a piedi, varcando i confini solo con un documento di identità. Potete parlarvi da una parte all’altra di una dogana che praticamente non esiste più. Siete liberi di muovervi fra stati, potete sentirvi un unico popolo. Noi no. Da Israele non si esce se non in aereo. In Israele non si parla con un libanese oltre il confine. Se fossi a casa non avrei mai potuto comunicare di persona con quel ragazzo. Non l’avevo mai incontrato prima, ma quando abbiamo capito da dove veniva l’altro, ci siamo messi a parlare più possibile, perché è un’occasione che probabilmente non potremo cogliere mai più.”

Siamo rimasti in silenzio. Ma io ci penso ancora a questa cosa. Due ragazzi come milioni nel mondo, che per comunicare devono incontrarsi per caso dall’altra parte del mondo, in un luogo dove chi li circonda non cerca di renderli nemici.

Vi lascio con le parole di Tiziano Terzani, che del viaggio e della conoscenza dell’animo umano ha fatto ragion d’essere, tratte dal libro “Lettere contro la guerra”:

„ A volte mi chiedo se il senso di frustrazione, d’impotenza che molti, specie fra i giovani, hanno dinanzi al mondo moderno è dovuto al fatto che esso appare loro così complicato, così difficile da capire che la sola reazione possibile è crederlo il mondo di qualcun altro: un mondo in cui non si può mettere le mani, un mondo che non si può cambiare. Ma non è così: il mondo è di tutti.“

 

 

 

 

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