Percorrendo strade diverse completamente sterrate.

Le ruote sbattevano violentemente contro le pietre, incastonate le une alle altre.

Arrivato, scesi in direzione dell’abitazione.

Mi accolse colui dal quale ero venuto, colui dal quale cercavo risposte.

“Dici di essere un artista?”

Cos’è che ti definisce tale? Perché ti definisci tale?”

“Salve Mio Maestro, non mi aspettavo una simile accoglienza. Forse, e lo sottolineo, dovrei essere io a chiederlo a lei.

Maestro, sono un artista?”.

Il Maestro si alzò in piedi chiedendomi di seguirlo.

Mi portò con sé nella parte posteriore della sua dimora, facendomi scoprire un giardino a picco sul mare.

“Che cosa provi guardando il mare?” mi chiese pacatamente.

Tentennai pensando alla miglior risposta da poter dare, mai mi sarei perdonato una pessima figura con lui.

“La libertà?”

“Non esiste una risposta giusta mio caro. Ed il tuo tentennare mi fa intuire che la tua risposta sia stata vittima di ripensamenti, di ragionamenti non dettati da quello che realmente provavi, ma da quello che volevi che io pensassi di te.”

Rimase per un attimo, per un interminabile attimo, in silenzio. Fissandomi con le palpebre immobili.

Io provavo un certo senso di vergogna, avevo quasi paura ad incrociare nuovamente il suo sguardo.

Lui, di colpo, abbassò la testa e riprese la parola.

“Ed è forse questo l’errore, il tuo errore mio caro. Quello che tu hai appena fatto, appena detto, ci dice soltanto chi non sia, cosa non sia, un artista. Il voler creare, il voler costruire un qualcosa che non sia tuo, che non sia reale ma che vada bene solo per gli altri. Come se fossi alla ricerca di un’approvazione complessiva della società.

Un artista è colui che crea ciò che sente, ciò che vede e ciò che pensa, senza tener conto se la sua creazione avrà seguito, se troverà corrispondenza nel pubblico, in coloro che guardano, che ammirano. Io ti ho indicato il mare, chiedendoti cosa ti avrebbe suscitato quella visione, quelle onde frangersi sulla scogliera. E sappi che non potrà essere mai quello che io vedo, che io provo, che io sento. Così come non sarà mai lo stesso di qualsiasi altra persona al mondo, qualsiasi essa sia. Non ti dimenticare queste parole mio caro. Un artista, alla fine, è colui che da voce alle proprie emozioni”.

Finito questo toccante pensiero, il Mio Maestro salì sul muretto che divideva il suo giardino dalla ripida scogliera.

Rimase, per qualche attimo, a contrapporre le sue rughe al vento battente, allargando le braccia e respirando a pieni polmoni.

Avevo davvero paura che si buttasse giù dalla scogliera in un impeto di poesia e significato.

Mi avvicinai prontamente a lui prendendogli la giacca per assicurarmi che non cadesse.

Nuovamente incrociò il mio sguardo con un fare quasi sconsolato.

“Pensavi che volessi gettarmi di sotto? Avresti avuto una storia troppo banale da raccontare, avrebbero intuito tutti il finale, prima ancora che potesse uscire dalla tua bocca”.

“Mi scusi Maestro, la mia prudenza è sempre esagerata”.

“Non ti preoccupare mio caro, imparerai a tue spese a lasciar accadere le cose, soprattutto quando non riguardano la tua vita. Ascolta te stesso, vivi le tue emozioni e potrai considerarti un artista. Ma non porre freni, né a te stesso né agli altri. Nessuno costringe nessuno a fare niente. Se qualcosa deve succedere probabilmente accadrà per la ragione che per te era la più impossibile”.

Tornammo dentro la sua dimora, bevendo un caffè e parlando delle nostre rispettive vite.

Ci abbracciammo per circa un minuto, prima che tornassi verso la mia casa.

Non sapevo se mai l’avrei rivisto, ma sapevo cosa avevo appena vissuto.

Molto probabilmente questa è la fine del nostro percorso emozionale.

Con la domanda intrinseca

“Cosa vuol dire essere un artista?”

“Sono un artista?”

Torno a guardare il mare in cerca di risposte.

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