Aria di primavera.
Sto scrivendo a ritmo di musica. Musica casuale, come lo fu la prima volta che scrissi.
La prima cosa che scrissi. Stavo ascoltando un album, era il 2016 e ancora non avevo idea di cosa la vita mi riservasse.
Lavoravo in una grande catena di supermercati, di cui non farò il nome (Brico, ndr). Arrivato a casa dopo una lunga giornata di lavoro, decisi di sdraiarmi con molta stanchezza nel mio letto veramente grande.
Era veramente esagerato ed io ero felicissimo. Era un letto con la rete fatta di legno in uno stile giapponese, senza doghe, molto probabilmente erano anime di defunti intrecciate fra di loro che sorreggevano il peso di un ignaro e ingrato giovane ragazzo, che mai le aveva ringraziate abbastanza.
Lo faccio adesso, grazie di cuore per il vostro sostegno (l’avete capita la battuta?).
Comunque, tutta questa digressione solo per dirvi che anche oggi sto scrivendo con la musica nelle mie orecchie, come quella sera, in balia del ritmo che cambia, delle sensazioni che canzoni diverse possono trasmettermi, in balia della prima domenica di Aprile, in balia della mia libertà.
Le mie dita sembrano poggiare più su di un piano che su di una tastiera, seguo la musica in un modo quasi metodico e super ordinato.
La canzone è molto coinvolgente, mi palesa nelle mente l’immagine di un ragazzo che ascolta il rumore di una valle infinita, urlando al cielo tutta la sua rabbia. Poi all’improvviso si ferma, si siede e comincia a piangere, ma in modo leggero, non a dirotto. Si mette la mano sul viso e poi tutto buio, la canzone è finita.
Ed incredibilmente, come se fosse tutto già scritto, la canzone successiva trasmette un senso di rinascita. Questo ragazzo è in fondo alla valle adesso. Sta nuotando in un piccolo lago ai piedi di una cascata. Decide di andare ad esplorare il fondale. Si districa tra pesci, alghe e sassi. Si prende un momento, chiude gli occhi quando è ancora sott’acqua, ascolta tutti i suoni che il lago può regalare. Adesso quel ragazzo sono io, mi soffermo un attimo e aspetto la nuova canzone.
Rieccoci. Il ragazzo è andato a teatro, durante uno spettacolo stile anni ’80. Ha ordinato un whiskey, è vestito con una giacca nera seguita da una cravatta con un motivo discutibile. Sta guardando una ragazza, distante circa dieci metri da lui, seduta da sola al bancone, con il barista in procinto di servirle una soda. Il ragazzo cerca lo sguardo del barista e lui capisce subito. Quella soda non verrà mai pagata. Inizia lo spettacolo, la folla gremita prende posto, la ragazza si disperde nell’ombra, regalando un ultimo sguardo al povero ragazzo, rimasto in solitaria a godersi lo spettacolo. Siamo giovani alla fine. Il bar ormai è chiuso.
Il ragazzo decide di cercare un posto dove far festa, vuole dimenticare quella delusione amorosa, di un amore mai nato e solo ipotetico. Trova un piccolo locale, da dove la musica fuoriesce senza freni. Uno shot, due shot, tre shot e il ragazzo è ormai ubriaco. Quattro, cinque, sei, sette… il ragazzo cade su un divanetto. Inizia a sognare ed è di nuovo in cima alla valle, ma stavolta a testa alta, sorride felice. Verrà svegliato dalla sicurezza. Tornerà a casa piedi, nonostante viva lontanissimo.
E adesso sono finite quattro canzoni, volete sapere quali sono?