La pace è più che un principio. È una ricerca di relazioni, è la costruzione di rapporti finalizzati alla realizzazione di un progetto, resistenza alla violenza e all’idea che la guerra sia inevitabile e uno strumento accettabile, nobilitato compre preventivo. L’alternativa – disarmo, memoria, percorsi di integrazione e di pace – c’è, ed è interpretata concretamente da Medì, una rassegna annuale di incontri promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, per lo sviluppo delle relazioni tra le città del Mediterraneo con l’intento di aprire uno spazio di dialogo.
Le città del Mediterraneo: un mare agitato dalla storia
Livorno, città-porto, storicamente senza mura e senza ghetto, è stata la sede opportuna per aprire uno spazio libero di confronto, un ambito di dialogo con le società civili, fedi religiose, le persone del mediterraneo.
Dal 2014, il focus del convegno sono le città, poiché esse appaiono, nell’era della globalizzazione e con la crisi degli stati-nazione, un soggetto importante e un attore decisivo.
Oggi però, il Mediterraneo è “un mare agitato dalla storia“: i movimenti migratori, la corsa alla conquista delle risorse energetiche, la crescita dei conflitti, sfidano la consuetudine di prossimità con “l’altro”, la cultura della pace e della giustizia, il futuro di coabitazione dei suoi abitanti. Ma «le città vogliono vivere e dire la loro in questo tempo violento – spiegano gli organizzatori – Barcellona, Marsiglia, Genova, Cagliari, Napoli, Palermo, Catania, Siracusa, Trieste, Salonicco, Smirne, Istanbul, Beirut, Haifa, Tel Aviv, Alessandria, Tunisi, Tangeri, Malta, Lesbo, Lampedusa sono le città che si riuniscono di anno in anno a Livorno, a dispetto delle ondate divisive che le investono. Hanno qualcosa da dire, hanno molto da raccontare. Questi incontri vogliono ascoltare la loro voce. E fugare con l’amicizia, i fantasmi dell’inimicizia».
Medì 2024: Scrivere la città
Sono stata invitata a seguire questo prestigioso convegno internazionale da una coppia di amici speciali (e devo ammettere che dove manca Dio provvede, perché io non ero a conoscenza di questo convegno. Sono una brutta persona? Si. Sono una giornalista inesperta? Pure, ma the show must go on..).
La sessione alla quale ho partecipato è stata la IV, la conclusiva dell’evento, che aveva come titolo Scrivere la Città, ovvero la città che diventa racconto, che come relatori ha avuto Pietro Spirito, giornalista e scrittore triestino, Tatjana Gromaca, giornalista e scrittrice di Pola, Marco Gasperetti, giornalista livornese che dal 2001 lavora per “Il Corriere della Sera” e Chiraz Gafsia, che a Tunisi è una delle giovani esponenti della nascente architettura sociale.
Una serie di interventi interessanti e che riportano alla storia della città e di chi l’ha abitata, che spesso (troppo spesso) viene dimenticato e il filo rosso di questi interventi, a mio parere, viene ben spiegato Tatjana Gromaca, nel suo intervento in lingua croata (e del quale ho l’estratto in italiano): Le città hanno un’anima, perché noi uomini molto spesso non l’abbiamo. Più l’anima di una qualche città è antica, più essa emana bellezza, saggezza, conoscenza.
Così, in mezzo alle parole di questi relatori, ho potuto conoscere la personalità di Osiride Broledani, personalità che nessuno di noi ricorda se non i suoi vicini di quartiere triestini, colui che ha portato in Italia la ormai famosissima pasta Fissan; Ho conosciuto la città di Pola e i suoi abitanti chiusi e distanti a causa degli eventi storici che l’hanno attraversata; Ho conosciuto il progetto di architettura sociale portato avanti da Chiraz Gafsia, che ha l’obiettivo di parlare con le istituzioni per creare dei ponti e delle opportunità e per la dignità dei cittadini della “città abusiva” di Tunisi (che anche attraverso queste costruzioni hanno denunciato una non-protezione da parte delle autorità).
Criticare la tua città è un atto d’amore
E poi grazie a Marco Gasperetti ho conosciuto Livorno e la sua storia, la Babele della Toscana, la città delle moltitudini: nata nel 1600 da Firenze che voleva “allontanare” il potere di Pisa da sé. Livorno è sempre stata, fin dalla sua nascita, una città poliedrica, aperta e multirazziale, un luogo straordinario dove c’era molta libertà e molte culture diverse che convivevano insieme. A Livorno c’era la volontà di mettere lo spirito critico, quello spirito che serve per migliorare. Cosa che pian piano, nel corso del tempo si è affievolita. «Criticare la tua città è un atto d’amore – concludeva Gasperetti – e il giornalista è il “cane da guardia” della città. È colui che parla anche di ciò che non va, perché la critica serve proprio per portare un miglioramento».
Un incontro davvero particolare e pieno di informazioni, creato per provare stupore per le nostre città e per il dolore che le ha attraversate (e che in alcuni casi, attraversa ancora). Un convegno per trasmettere una forte determinazione ad essere, tutti noi, un’eccezione alla regola della violenza, della sopraffazione e dell’indifferenza.
Buona Lettura,
Rachele.
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